QUEL MALEDETTO 4 NOVEMBRE

 

 

 di Enzo Costa

 

 

 

Lo dico anch’io che le scuole, quella tragica mattina di un mese fa, in quel dannato 4 novembre, andavano chiuse. Lo dico adesso. Ma prima? Prima del 4 novembre non lo dicevo, e non lo pensavo. Confesso che pensavo il contrario: pensavo che non andassero chiuse, perlomeno a Genova, perché pensavo che l’allarme fosse eccessivo, per colpa di noi “operatori mediatici”, e per riflesso condizionato di molti. Pensavo, cioè, che quell’allerta due fosse una conseguenza esagerata dell’alluvione nello spezzino poco o per nulla annunciata, di pochi giorni prima. È capitato spesso, in questi anni: a fronte di una catastrofe naturale non prevista, stampa, tv ed autorità che si affannano a diramare nuovi avvisi di pericolo, vuoi per rimediare alla mancata previsione precedente, vuoi (almeno inconsciamente) per esorcizzare ulteriori disastri. E il (retro)pensiero delle persone comuni è questo: “Danno l’allarme solo perché non lo avevano dato l’ultima volta, ma stavolta non succederà niente”. In questa specifica occasione, una mezza idea mia, e non solo mia. Ora che - a freddo - si può, facciamo mente locale: la vigilia del 4 novembre, quell’incessante fucina di sentenze sommarie che è anche la rete, emetteva verdetti inappellabili contro il terrorismo allarmistico della sindaco. Lo stesso giorno dell’alluvione, le cronache riferivano la protesta dei commercianti di Sestri Ponente, contrari alla chiusura obbligata dei negozi, giudicata immotivata. Eccolo, un altro elemento del pre-tragedia che, col senno esasperato di poi, è stato rimosso: i riflettori dei media e, di conseguenza, gli occhi dei cittadini, erano puntati sui luoghi dei precedenti disastri, del 2010 e di qualche giorno prima. Il messaggio più esplicito che implicito che passava, poche ore prima della catastrofe che avrebbe ferito il capoluogo ligure, era questo: è in arrivo un nubifragio che toccherà anche Genova e il Ponente della regione, ma i cui effetti più negativi dovrebbero manifestarsi laddove l’alluvione ha colpito da poco (le Cinque Terre) e un anno fa (Sestri): si paventavano altri crolli ed allagamenti nelle zone già sfigurate dalla potenza distruttrice dell’acqua, suggerendo perciò l’idea che fosse là, in quei luoghi già devastati, il vero, se non unico, pericolo. Da qui, o anche da qui, forse, la decisione di lasciare aperte le scuole genovesi, e la quasi unanime pacifica accettazione del provvedimento. Per di più c’era e c’è, come si è detto da varie parti (anche da quelle autorevoli del meteorologo Achille Pennellatore), l’insostenibile vaghezza, nel nostro paese, del concetto di “allerta due”, che contempla una troppo ampia escursione di eventi climatici, più o meno devastanti. Tant’è che ora si è valutato di ridefinirlo. Una genericità propedeutica, nel caso di Genova, a numerose precedenti “allerta due” rivelatesi prive di gravi conseguenze, e foriera, quindi, di puntuali pesanti sarcasmi, on-line e politici, sulla sindaco che chiude le scuole quando poi la bufera di neve si rivela una bufala. Certo, la Vincenzi, in quest’ultimo, tragico caso, può avere sbagliato toni e parole nell’immediato dopo-alluvione, può aver commesso l’errore di difendere in un primo momento con troppa ostinazione quella decisione; ancor di più, per me, ha sbagliato nel non spiegare subito e meglio i motivi di quella scelta, sbagliata col senno di poi (ma lo ha fatto bene poco tempo dopo, con la sua lettera sul web). Ma non penso si possa dire che alla vigilia era evidente che andassero chiuse le scuole: fosse stato così evidente, intendo dire evidente agli occhi di tutti, al punto che tenerle aperte (come hanno sostenuto alcuni degli accusatori della Vincenzi) fosse una scelta quasi criminale, penso che tutti i genitori i ragazzi a scuola non li avrebbero mandati. E poi, tralasciando qualche “dettaglio” sociale (la nostra idolatria per l’asfalto e l’automobile, il nostro invocare strade, garage e posteggi all’insegna del “box populi box dei”), e tecnico (lo scarso coordinamento fra le varie unità operative, ora ammesso dal capo della Protezione Civile), politicamente ci sarebbe da dire altro: che è osceno vedere strumentalizzare una tragedia simile da forze politiche responsabili nazionalmente di condoni edilizi, istigazioni all’abusivismo selvaggio che fa scempio del territorio; le stesse forze politiche il cui governo aveva tentato di varare un Piano casa all’insegna del “costruisco ergo sum”, ed ha quasi azzerato i fondi per la cura del dissesto idrogeologico. Infine, ricorderei una cosa: la vituperata Vincenzi ha predisposto un piano urbanistico nel quale è vietato costruire ancora in collina, con una linea d’azione nell’ambiente urbano mirata più alla riqualificazione dell’edilizia esistente che a nuovo cemento: certo, può non essere sufficiente. Ma è un fatto che già a suo tempo, nel presentarne le linee guida (ben prima che arrivasse in consiglio comunale), la sindaco, accanto al solito “non è abbastanza” degli ambientalisti duri e puri, si era beccata attacchi feroci dalla lobby dei costruttori, il cui leader è (o era) molto vicino al partito di Berlusconi. Forse, prima di chiederle di dimettersi ora, sarebbe stato opportuno darle un minimo di sostegno allora.

  Repubblica Genova 05/12/11

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