I
di Enzo Costa
E dunque
l’importante - ancora oggi - è partecipare, alla faccia della variante
“furbetti del quartierino”, che recita “ma l’ideale è avere la maggioranza
azionaria”. Lo dimostrano i tre milioni quattrocentomila “e fischia” (come dice
Fassino, non chiedetemi perché) che hanno osato fare politica mettendo una
croce sulla scheda, invece di disfarla gridando vaffanculo a destra e a manca
(con la destra che sotto sotto gradisce, così ci si sbarazza della manca). Lo
dimostrano racconti e fotografie della più multietnica delle comunità: quella
delle primarie, una spettacolare accozzaglia umana fatta di vip (scusate la
parola) e immigrati, immigrati vip, banchieri e precari, atei praticanti e
suore militanti, sedicenni e partigiani, operai e registi, milanisti e Moratti,
cittadini politicamente impegnati e cittadini casualmente transitati nei pressi
di un gazebo sprigionante l’irresistibile profumo della democrazia. E lo
dimostra – l’imperitura valenza del motto decoubertiniano – un’immagine
emblematica, disponibile in versione fotografica e video: ritrae i candidati
alle primarie a risultati proclamati, nella sede del partito di piazza Santi
Apostoli. Sono lì, quattro dei cinque aspiranti alla segreteria (manca
Gawronski, economista prestatosi alla campagna elettorale e forse appartatosi –
al momento dello scatto e delle riprese – a calcolare i costi della
competizione), più Romano Prodi. E sono lì, nel seguente ordine, da sinistra a
destra (per chi guarda la scena, non per come la pensano politicamente): Letta,
Bindi, Prodi, Veltroni, Adinolfi. Nella più classica delle pose
teatral-unitarie: disposti a semicerchio, braccio teso a mezz’aria in avanti verso
il centro, le mani una sull’altra a mo’ di “uno per tutti, tutti per uno”.
Partecipazione palpitante, specie del quinto dei moschettieri democratici: si
staglia su tutte le altre, e non solo fisicamente, la figura del valoroso
Adinolfi. Eccolo, a suggellare in forma plastica il proprio far parte del
collettivo vittorioso, forte del suo 0,1%, ma vicinissimo, spalla a spalla con
Veltroni, accreditato di un appena più robusto 75,2. Prova vivente e
tripudiante – per l’appunto – dell’importanza della partecipazione, che annulla
le differenze. O meglio, le enfatizza alla rovescia: in quella scena di gruppo,
il vero vincitore - per entusiasmo sprizzato dai pori – parrebbe lui, lo
straripato blogger Mario, e non quello accanto, il misurato sindaco Walter.
Impressione confermata ed accentuata dalle sequenze dei tiggì: sì, perché le
immagini girate prima, durante e dopo quella messa in posa per gli obbiettivi,
immortalano il blogger Mario che – impugnata con la mano sinistra una macchina
o videocamera digitale – immortala fotografi e cameramen che lo immortalano con
gli altri moschettieri progressisti, per poi passare ad immortalare (per la
serie “io c’ero e gioivo”) i quattro omologhi impegnati come lui ad inscenare
quel quadretto dumasiano. Nel quale, non a caso, la mano suprema, che copre,
domina e protegge le altre, è la sua. La manona del blogger Mario. Che è lì,
insieme agli altri, ad esultare più degli altri, galvanizzato dai suoi tremila
“e fischia” voti (è un calcolo a spanne, Gawronski mi correggerà). Simpatica e
gradevole icona di una partecipazione virtuale, (anche) nel senso del web. Un
paladino della rete, entusiasta e gentile. Se non dovesse gradire questo pezzo,
sul suo blog – ci scommetto – al più mi indirizzerebbe un “Vaffanbagno!”.
Prodi e i quattro moschettieri (Porthos è in fondo a destra)
da L'Unità, 16 ottobre 2007
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