Vero: gli articoli giornalistici, i servizi dei telegiornali e le chiacchiere di pianerottolo sul Natale che quest’anno è più austero, sono un tipico addobbo natalizio. Sotto Natale si espongono da sempre, come presepe ed albero, o come – da qualche tempo – i Babbi Natale free climber aggrappati a finestre e balconi. Facile che usassero fin dai primordi festivi: scommetto che attorno al 10 dopo Cristo, smaltiti due lustri di sbornia consumistica (quegli scialacquoni dei Re Magi, lì per lì, avevano fatto tendenza), i conversari natalizi fra pastori palestinesi vertessero sulla dura crisi del comparto allevamento, e sulla conseguente urgenza di far di necessità virtù, riconvertendo i trendissimi pacchi dono a base di oro, incenso e mirra in lana, formaggio e yogurt da barattare con bauli, comodini e mensole forniti dal disastrato comparto artigiano. Erano, insomma, gli albori del regalo utile, un altro classico di stagione. “Quest’anno va il regalo utile” lo sento dire e lo leggo fin da prima che sapessi leggere, e quando mamma e papà mi traducevano quei geroglifici sul giornale pensavo ardentemente che avrei dovuto convincere Babbo Natale di quanto mi fosse utile, utilissimo, irrinunciabile come l’aria, l’ultimo modello di autopista a due piani con curve paraboliche. Non c’è mai stato, un Natale senza la notizia che quell’anno andava il regalo utile. Forse anche negli sfavillanti 25 dicembre della Milano da bere, intervistarono manager rampanti e socialisti gozzoviglianti che inneggiavano al dono equo e solidale. Detto questo, che tra l’altro è anch’esso un classico stagionale (non è certo il mio primo pezzo sui luoghi comuni pauperistici del Natale), va anche detto che – facezie a parte – quest’anno, a Genova come in Italia come nel mondo, il Natale sobrio e parsimonioso non è solo uno dei tanti modi di infiocchettare le notizie sulle festività incombenti. E’ anche una verità. Davvero mai come quest’anno (salvo, magari, il Natale del 1929) l’aria fredda che tira trascende il dato meteorologico: infuria la recessione, gelano i consumi. E l’ostinazione con cui il Trisunto del Signore che ci sgoverna prova ad esorcizzare la crisi mediante un’allegria da Guerra (Tonino, lo sceneggiatore testimonial di buffi spot sull’ottimismo da supermercato), è la prova scientifica dell’esistenza della suddetta crisi: per non negare se stesso e la propria ragione (a)sociale, il Nababbo Natale di Palazzo Chigi nega l’evidenza, dà la colpa all’opposizione cinica, bara e pessimista, che poi magari taccia di essere una sinistra al caviale ed allo champagne, rifacendosi il trucco come Statista Solidarista che – invece di brioches alle folle senza pane – getta socialcard ai pensionati senza soldi. Tra una trasvolata e l’altra di Stato alla volta di questa o quella Beauty Farm Méssegué. Certo, il Natale austero in fondo è un ritorno alle origini: la stalla di Betlemme non era a cinque stelle (anche se il bue e l’asinello, per l’epoca, erano un riscaldamento stralussuoso, oltre che in sintonia preventiva col protocollo di Kyoto). Il punto, semmai, è il pulpito dal quale viene la predica caldeggiante l’austerità. Personalmente, ho trovato accettabilissimo quello di Nando Dalla Chiesa, per credibilità e per merito: sacrosanto il suo invito alla città a non abusare di luminarie natalizie. E non solo per un fatto economico: certi orripilanti addobbi luminescenti sono la dimostrazione che anche i blackout hanno dei lati positivi. "..e con la Social Card tutti vissero ricchi e contenti" Repubblica Genova 07/12/08 tutti i diritti riservati |