Mi scuote un frammento di Blob: Barbara D’Urso, fra una gossipata e l’altra, inalbera quella sua espressione toccata e severa da gravi occasioni. La scaletta dell’intrattenimento pomeridiano di Canale5 prevede un picco di intensità: il collegamento con terremotati aquilani che rivivono la loro tragedia nel sisma emiliano. Dicono, con accenti di forte verità, che il centro storico della città è in macerie come tre anni fa, si appellano affranti a Monti perché provveda per loro (e per i terremotati dell’Emilia). È qui che l’impeccabile Barbara sfodera il suddetto sguardo accorato e accigliato, caricando con un potente grado di ammonitoria sollecitazione la richiesta dei suoi ospiti. Faccia e toni, più ancora delle parole, sono una strigliata a quell’inconcludente di Monti, che nulla ha ancora fatto per L’Aquila. Mi sovviene il settembre del 2009. Avevo scritto: “Ed eccola, la sacerdotessa D’Urso, già dedita all’ostensione di freaks (la donna più barbuta d’America, l’uomo più piccolo del mondo), officiare, tra applausi automatici dei fedeli e omelie visionarie di Paolo Liguori, il culto del Premier più escortato del pianeta omaggiante i miracolati di casette da lui non realizzate. Immagini sindoniche dell’Unto fardato in Abruzzo si alternano a lunari dibattiti sugli ufo, canti stonati di vecchiette e cuori infranti di tronisti nel Tempio-studio. Fra le une e gli altri non si nota differenza”. Colei che celebrò in diretta, con un grottesco Cinegiornale Luce catodico, lo sciame silvico di Papi che televendeva l’immediata ricostruzione dell’Aquila, ora ostenta la propria impazienza per la stessa Aquila ancora distrutta e negletta da Monti. Scontata conferma di come controllare l’informazione aiuti. E significativo esempio di motivata fiducia nella smemoratezza italica. l'Unità 11/06/12 Tutti i diritti riservati |