IL TIMIDO BERLINGUER

 

 

POLITICA IN BIANCO-NERO

 

 

 di Enzo Costa

 

 

 

IL TIMIDO BERLINGUER

POLITICA IN BIANCO-NERO

 

Ricordo del segretario del Partito Comunista scomparso nel giugno 1984.

 

La rimpianta "sinistra poco moderna"

 

Per me, di base, Berlinguer era un politico timido. Certo, a quei tempi, che non erano questi, poteva permetterselo: “un politico timido” non era un ossimoro innaturale, assurdo ed inconcepibile. Ma un’eccentricità, in qualche modo, lo era. Però dire che fosse timido non è esatto, o meglio non è sufficiente: Berlinguer era timido anche nella sua timidezza. La timidezza lui la portava con pudore, spesso si vedeva che lo imbarazzava politicamente, si intuiva che stesse pensando “Il segretario del Pci non deve esibire le proprie introversioni”, e allora provava a darsi un contegno istituzionale, a volte scandendo meglio le parole, scolpendole con una sorta di solennità sarda, a volte (nelle tribune politiche) guardando al suo fianco Tatò. Che con lo sguardo lo rassicurava timidamente. A quei tempi, che non erano questi, i più stretti collaboratori dei segretari politici potevano permetterselo: sostenere il segretario con pudiche espressioni facciali e lessicali. E non guardandolo come fosse il Signore, l’Unto del Signore o, male minore, il Santo Patrono. E non parlandone come fosse lo Statista (con la esse maiuscola), LO STATISTA (tutto maiuscolo) o, meno peggio?, il fondatore dell’azienda. In particolare fra loro, dico fra Berlinguer e Tatò, c’era una complicità unidirezionale di sguardi sommessi: quelli che partivano flebilmente dal primo producevano quelli che sgorgavano impercettibilmente dal secondo, e mai il contrario. Perché timido sì, ma un leader Berlinguer lo era eccome. E poi, era tante altre cose: Berlinguer era una persona seria. Berlinguer era una persona troppo seria. Berlinguer non era una persona seriosa. Berlinguer era una persona e non un personaggio, una personalità e non un personalismo. Berlinguer era la politica della mia infanzia. Berlinguer era la politica in bianco e nero. Berlinguer era Jader Iacobelli che lo introduceva senza quasi mai ammiccare, tanto poi arrivava lui che non ammiccava per nulla. Berlinguer era l’austerità nello spirito e nel fisico, nella pettinatura e nelle giacche, e poi nel pensiero politico. Berlinguer era la sinistra italiana quando sembrava che la definizione avesse un senso. Berlinguer era lo strappo da Mosca, coraggioso ma lento, cauto ma ostinato, indefinito ma definitivo, che dentro lo lacerava. Berlinguer era un’incompiuta in pieno corso, una scommessa che si poteva benissimo perdere, una speranza che non si voleva spegnere. Berlinguer era l’eurocomunismo, il compromesso storico, la solidarietà nazionale. Berlinguer erano i progetti ambiziosi e affannosi, le visioni lucidamente opache, il pessimismo della volontà, l’ottimismo della ragione. Berlinguer era l’inizio del titolo di un film di Benigni, quando Benigni diceva molte parolacce, però era poetico proprio come oggi. Berlinguer era Benigni che lo prendeva in braccio con la stessa amorevolezza infinita con cui oggi prende in braccio Dante o Mameli. Berlinguer era un politico in ritardo con la Storia con tutte le qualità per passare alla Storia. Berlinguer era una sinistra poco moderna per gli stessi che ora, rievocandolo con rimpianto, dicono che la sinistra è troppo moderna. Berlinguer era l’opposto di Craxi, l’interfaccia di Moro, il figlio di Pertini, un non consanguineo di Andreotti, un non connazionale di Berlusconi. Berlinguer erano le classi deboli che andavano tutelate e non manipolate, fatte crescere e non rimbambire, educate nelle sezioni e non narcotizzate con le televisioni. Berlinguer era un’idea di società, forse utopistica, forse confusa, ma era un’idea ed era una società. Berlinguer erano gli operai che c’erano e non dovevano sparire, era la marcia dei 40.000 e la sconfitta di Mirafiori, così terribilmente vincente, rispetto alla disfatta di trentuno anni dopo. Berlinguer era la sua vita sussurrata, la sua morte gridata, il suo funerale intimo e trionfale. Un dolore potente, dirompente e imponente. E timido. Enzo Costa

 

 

  l'Unità 26/06/11

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INDICE:

 

557) Il timido Berlinguer NEW

556) Da legare NEW

555) Vespa, il brutto della differita NEW

554) Emozioni d'ordine NEW

553) Colpito al quorum NEW

552) L'acqua pura della conoscenza NEW

551) Lo scapigliato

550) Rimario referendario

549) Restarci Sechi

548) Cerebro(il)leso

547) Inedito: Cronache di una domenica bestiale

546) Quale Giuliano?

545) Non si lava (via)

544) Sì, però

543) Basso profilo

542) Moderato sarà lei

541) 2 Versanti:

- A RESPONSABILITA' ILLIMITATA

- IL CAVALIERE INTERMITTENTE

540) Giudici e scuola: i tormentoni del Premier ripetente

539) Cosa tocca vedere

538) Sarò (troppo) breve

537) La mediocrità al potere

536) Papisti tristi a Ballarò

535) Sconciati per le feste

534) Lui, io e noi

533) Lampedusanze

532) Favoletta surreale

531) Raìssilvio

530) Convegni convenienti

529) 2 Versanti: Scilipotizzabili e Analfanobetismo

528) Così, per barsport

527) Gelmini ministra impreparata

526) Epocale di lunedì

525) Se la Consulta boccia Vendola, è comunista?

524) Ha fatto scuola

523) A buon fraintenditor

522) Acque agitate, acque stagnanti

521) Controesodo biblico

520) Il mistero dei "papisti" invasati

519) Onirico finale

518) Se non ora, quando?2: la burletta

517) Colpo gobbo

516) Se non ora, quando?

515) Mente il mantra

514) Scosse di annientamento

513) Dagli amici si guardi lui

512) Settimo: non Rubyre

511) L'onorevole Santacqualarupi

510) Premier il piacere, poi il Carroccio

509) Lupi e agnelli

508) Il sol del regredire

507) Borghezio show

506) Ricusatio non petita

505) Padanovela

504) Gabriel all'Arena, noi in un meraviglioso altrove

503) Corte e cortigiani

502) Il Carlo Felice dalla Bohème alla rèclame

501) L'instabile Schifani

499) Moderati auguri

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