Com’era quella storia della cultura che non funziona in tv? Ci pensavo domenica sera, ma non me la ricordavo bene, anche perché ero distratto dalla tv, che – su Raitre, in prima serata – trasmetteva un programmino leggero leggero, semplice semplice, subdolamente accattivante e in quanto tale distraente da concetti alti e ponderosi come quello succitato: c’erano un giovane conduttore ed un anziano signore seduti in poltrona, che discorrevano, dando l’idea di farlo per loro personale piacere (difatti ignoravano la telecamera, ma si guardavano negli occhi). E più quell’idea di una loro complicità intima, domestica (già, perché scordavo di dire che non si trovavano in uno studio televisivo, ma nello studiolo di casa dell’anziano signore) mi arrivava, più mi veniva voglia di starli a sentire, di origliare quel loro conversario così poco telegenico ma, incredibilmente, così tanto attraente. Sì, perché il giovane conduttore e l’anziano signore dissertavano in leggerezza di cose per cui vale la pena vivere, come la mano di un padre che fa da coppa per l’acqua in infantili camminate in collina; o come il rumore del terriccio dei sentieri che costeggiano i canali fluviali francesi, rumore che si imprime nella memoria quando sono i passi di un amico a provocarlo; o come il sapore sublime di una frittura di paranza, unico quando sono le mani, e non la forchetta, ad offrirlo alle papille gustative; o come l’indicibile godimento di uno “zapping” notturno compiuto non smanettando sul telecomando, ma frugando tra le pagine dei libri sparpagliati sul letto. Ops, libri: vocabolo e oggetto culturale! Eppure, pronunciato ed evocato lì, in quel privatissimo dialogo per estranei incuriositi, suonava benissimo. E rafforzava la mia attenzione alla conversazione: volevo, dovevo intercettare, rubare ogni frase, ogni argomento, i pezzi di vita di quell’anziano signore, la casa abitata in Francia dal suo amico, romanzescamente vera, l’improbabile motocicletta che quest’ultimo cavalcava in impossibili viaggi transalpini, e altri ricordi più teneri e per questo subito mitigati dall’ironia, e ancora, con il supporto di un gradito ospite, il ragionare ed il contraddirsi sui libri più importanti per l’uno e per l’altro. Libri, ancora! Ma cos’altro aspettarsi, in fondo, da uno come Carlo Fruttero intervistato a domicilio da Fabio Fazio, con la partecipazione straordinaria di Pietro Citati? Proprio nulla. Bastava questo: un’ora di televisione meravigliosa, frivola, scintillante, colta. Com’era poi quella storia della cultura che non funziona in tv?