di Enzo Costa
Mi succede
sempre, e ci sono ricascato: per formazione, età e mestiere, ho allevato con
cura e dedizione il mio senso ipercritico, il mio gusto per lo sberleffo, la
mia tendenza allo sbeffeggiamento. Per me, armi sistematiche. Che
sistematicamente depongo in una sola occasione, o meglio per una sola persona:
Peter Gabriel. La sua opera, i suoi miracoli (artistici). Persino la sua stazza
fisica. Elementi di fronte ai quali il fan(ciullino) che è in me non solo si
sveglia, ma strilla a squarciagola tutto il suo entusiasmo innocente e
spudorato: Gabriel è un genio musicale, meritevole di adorazione! Porta
benissimo gli anni, e pure i chili superflui! La propensione all’idolatria, è
ovvio, non è caratteristica richiesta nel curriculum di chiunque faccia satira,
ma in questo caso specifico – è ancora più ovvio – trova una giustificazione
nella (per me) oggettiva realtà dei fatti: queste date italiane del suo
inatteso tour 2007, per esempio, sono una prova suonante di un talento senza
fine. Inizia il concerto e le note profonde di The Rhythm Of The Heat mi
danno il brivido intenso di un tuffo nel passato, che le successive On The
Air e Intruder mi chiariscono meglio: non si tratta (solo o soprattutto)
di un effetto nostalgia, ma di un effetto storicizzazione: il buon vecchio
Peter, venticinque e più anni fa, scriveva pezzi più moderni di quanto ci tocca
ascoltare oggi: visionarie saldature di Occidente e Africa, elettronica e
ritmo, nel primo e terzo brano, magistrali partiture di rock tagliente nel
secondo. E il mio professionale disincanto, a questo punto del suo cantare, si
è già eclissato: un puerilissimo visibilio si impossessa di me, e maramaldeggia
con il romanticismo adulto di Blood Of Eden, la fredda desolazione dance
di I Don’t Remember, e – ancora di più – l’inarrivabile immersione nei
recessi di un’anima sconvolta di No Self Control. Parte Family
Snapshot e mi ritrovo a cantare come un bimbo felice. Con la
controllatamente violenta Not One Of Us, poi, non mi controllo più, fino
a perdermi in quel capolavoro di spiritualità tecno-tribale che è Lay Your
Hands On Me, prima di commuovermi come un bimbo strafelice per i bis Sledgehammer
e In Your Eyes. Il fan(ciullino) trionfa, al punto che: nello show di
Brescia, davanti ad un tizio esagitato che a un certo punto mi copre la visuale
sventolando uno striscione pro-Peter, non gli chiedo di toglierlo, ma mi chiedo
perché mai non ne ho portato uno anch’io; quando vedo l’esponente della Margherita
Lapo Pistelli che assiste al concerto, mi esalto neanche fosse Veltroni al
Lingotto; e allorché Peter non si intende con la band ed interrompe la già
avviata No Self Control per ricominciarla da capo, non mi dico “peccato
per l’errore!”, ma “che bello: così la sento una volta e mezza!”. Poi mi
passa. Domani torno a satireggiare.
Immagine del concerto di Brescia, tratta dal reportage fotografico di
da L'UNITA' del 04/07/07 Tutti i diritti riservati |