di Enzo Costa
“Per
fortuna, ormai, il sistema è talmente debole, timoroso di tutto, rannicchiato
su un’eterna difensiva, spaventato dalle sue ombre e dai fantasmi che esso
stesso si fabbrica, che basta una schìcchera per farlo crollare. Basta
provarci. Mentre tutti si domandano tremanti <<chissà se questo si può
dire>>, è sufficiente che qualcuno lo dica per mostrare che si può: basta
volerlo”. Scriveva così Marco Travaglio sull’Unità lo scorso 2 giugno,
riflettendo da testimone e protagonista della splendida puntata di “Annozero”
dedicata al caso Chiesa cattolica e pedofilia. Un sacrosanto riconoscimento, il
suo, alla qualità del vero giornalismo, quale è quello di Santoro: raccontare,
mostrare ed interrogare senza reticenze, fare parlare i fatti e le persone per
estrarne la verità, auscultare la realtà sociale per far sì che ognuno di noi
possa ricavarne una diagnosi. Giusto, l’elogio della libera informazione. Ma
forse gioverebbe anche qualche riflessione sulle condizioni in cui viene
esercitata: uno come Santoro, superfluo dirlo, non ha mai cessato di “provarci”
(per dirla con Travaglio): o meglio, ci ha sempre provato, finché a un certo
punto gli hanno impedito di farlo. Sappiamo bene quando gli è stato impedito.
Sappiamo bene da chi. Mi permetto sommessamente di ricordarlo ai più distratti:
arrivato Silvio al governo, Santoro è stato zittito. Ridotto al silenzio.
Oscurato dalla televisione pubblica. Costretto a intraprendere una carriera politica
da parlamentare europeo per tenere accesa la luce sul suo caso. Sul suo, e su
quello di Enzo Biagi e Daniele Luttazzi, annichiliti con lui dall’etere dopo il
famigerato editto di Sofia del Cavaliere. Dunque, al “basta provarci” di
Travaglio, occorrerebbe aggiungere una piccola postilla: “e non trovarsi
nell’impossibilità di farlo”. Ecco: mi permetto di rammentare che adesso la
televisione pubblica, con tutti i suoi difetti, con tutte le sue orripilanti
scimmiottature del modello irreality Mediaset, ospita l’ottima trasmissione di
Michele Santoro. Ospita il salutare rotocalco settimanale di Enzo Biagi (la
speranza, ci si augura non utopistica, è di un ritorno di Daniele Luttazzi, che
– lo rammento – lavorava in Rai prima dell’avvento del Cavaliere a Palazzo
Chigi). Certo: è il minimo che ci si potesse attendere dal centrosinistra al
governo. Ma quel minimo ora c’è. E –
ribadisco – tanto minimo poi non è, giacché sotto quel minimo ci siamo stati
per tutto il precedente governo, quello di Berlusconi. E qui
vorrei esporre qualche considerazione sul tema dell’informazione televisiva in
questa stagione politica. Per farlo, sgombro subito il campo da ogni facile
equivoco che mi possa far passare per una sorta di Emilio Fede rosso. Dunque,
dico che molti sono i motivi di delusione per l’Unione al governo: divisioni
eccessive, litigiosità moleste, ritardi nell’attuazione del programma
presentato agli elettori, poca incisività nell’azione di correzione o
abrogazione degli obbrobri legislativi del centrodestra. E taccio sugli aspetti
positivi dell’azione di governo (che per me comunque ci sono). Mi concentro
invece su un elemento che le fa da cornice: il giornalismo televisivo. Come
sono i telegiornali (e com’erano con Silvio sgovernante). Come sono le
trasmissioni di approfondimento (e com’erano durante il regno del Bisunto). A
cosa si deve la loro attuale natura, e cosa questo comporta a livello di
opinione pubblica. Il quadro – per chi lo voglia vedere – è nitido: oggi c’è un
Tg1, diretto da Gianni Riotta, di buon livello. Che non nasconde i fatti. Che
non occulta le divisioni della maggioranza. Che non spande cortine fumogene
sulle emergenze sociali. Al teleutente medio che segue quel notiziario
(teleutente non politicizzato, o non informato dalla lettura sistematica di uno
o più quotidiani) vengono giustamente, e sottolineo giustamente, mostrati i
problemi della microcriminalità, dell’immigrazione clandestina, della sicurezza
sul lavoro. Non vengono affatto nascoste le contestazioni a Prodi (come non le
nasconde l’inappuntabile Tg3, mentre sotto Berlusconi, le rare volte in cui
venivano mostrate contestazioni al Premier, il tema non era quasi mai – come è
ora – “quant’è impopolare il capo del governo”, bensì “com’è illiberale la
sinistra che demonizza il Cavaliere e tra l’altro, così facendo, si gioca
l’elettorato moderato”). Arriva, insomma, l’odore della società, dei suoi
disagi, dei suoi (mal)umori. Tutto questo non avveniva durante il governo di
Berlusconi, quando le news di Raiuno erano affidate a Mimun: quello era un
notiziario militarizzato. Che metteva la sordina alle piaghe sociali del paese.
Che celava ogni divisione nella maggioranza. Che, per esempio, toglieva il
sonoro alla figuraccia di Silvio che dava del “kapò” ad un parlamentare
europeo. Ora, giustamente, e risottolineo giustamente, il telegiornale di
Riotta fa vedere gli sbarchi dei disperati a Lampedusa. Per i cinque anni di
Silvio, quegli sbarchi passavano sotto silenzio, quasi sempre comunicati senza
immagini di supporto, e, le volte in cui le immagini c’erano, senza il corredo
della polemica politica dell’opposizione, che – essendo civile e non demagogica
a differenza dell’attuale – non osava speculare su drammi del genere. Per non
dire del Tg2, ora come allora diretto dall’abile Mazza. Solo che allora, gli
sbarchi erano invisibili e comunicati episodicamente in pochi secondi. Ora sono
enfatizzati dalle immagini, quando non dalle accuse del centrodestra sul
lassismo pro-clandestini della sinistra. Nell’estate 2006, pochi mesi dopo
l’insediamento del governo Prodi, l’abile Mazza spedì un affannato inviato a
Lampedusa, che ogni giorno – a mo’ di rubrica fissa come il meteo –
confezionava un pezzo vibrante sull’arrivo dei disperati dalle coste africane.
E, quando non arrivavano, sui gravi disagi vissuti dagli isolani per
quell’emergenza. Risultato: malgrado gli approdi dei clandestini siano più o
meno stabili, oggi al teleutente medio paiono molti di più rispetto all’era del
Cavaliere. Ho sentito con le mie orecchie molte persone affermare in perfetta
buona fede che ci sono troppi clandestini per colpa delle leggi di questo
governo. Convinte che non sia più in vigore la legge Bossi-Fini. A inizio
governo Prodi, prima che venisse sospesa dall’Ordine dei giornalisti per certe
sue disinvolte attività, persino la felpata Anna La Rosa, con il suo fino ad
allora (sotto Silvio) ovattatissimo “Telecamere”, aveva aperto squarci
inquietanti sul precariato, sui pochi fondi per la Giustizia, sugli infortuni
sul lavoro. Circa quest’ultimo tema, siamo davvero al paradosso: durante il
governo Berlusconi, gli infortuni sul lavoro c’erano, non erano oggetto di
proposte di legge della maggioranza, e (Tg3 a parte) venivano accuratamente
occultati dai telegiornali. Oggi che la maggioranza di governo predispone leggi
e controlli per arginarli e l’informazione televisiva per obiettività e
strumentalità li fa vedere, al teleutente medio pare siano in crescita
esponenziale. Si dice:
ma ora c’è “Annozero”, che è di sinistra. Vero: c’è “Annozero”, il cui
conduttore non nasconde tartufescamente le proprie idee politiche. Ma non
nasconde nemmeno la realtà: se reputa che l’immigrazione sia un arricchimento
culturale e sociale per il nostro paese, oltre che un diritto per chi cerca
condizioni di vita sopportabili, lo dice. Ma dice anche senza omissioni di
sorta i problemi che ne derivano, le guerre tra poveri che si scatenano, le
sofferenze che si producono tra chi arriva e tra chi accoglie. Questa, come
dice Travaglio, “è la stampa, bellezza”. Che adesso, col centrosinistra,
ricomincia a funzionare. Col centrodestra, al posto di Santoro c’era Socci, che
– puntate mistiche a parte – confezionava devoti santini di Tremonti e
Berlusconi (intervistato a domicilio mediante l’apposita struttura extraRai
delegata alle riprese patinate del Capo). Trovatemi un santino di Prodi redatto
da Santoro: fortunatamente non c’è. Sotto Silvio, c’era pure l’inarrivabile
Berti, che alla vigilia del voto realizzò un “Batti e ribatti” nel quale il
Cavaliere aveva l’agio di rispondere alle domande leggendo sul gobbo
appositamente installato. E “Ballarò”? Durante il governo di centrodestra,
l’unica oasi di libera informazione. Ora, un ringhioso e doveroso cane da
guardia che azzanna il governo (con libertà di incursioni telefoniche per il
Cavaliere). Altro che santini. Di Vespa inutile dire, se non fare un piccolo
esempio: quando, dopo pochi mesi di governo Berlusconi, il ministro degli
Esteri Ruggiero si dimise per grave incompatibilità politica con un governo
padano-bushòfilo, allestì una tranquillizzante puntata dal titolo “Divorzio
consensuale”. L’altra sera non dava tregua a Visco mediante un’ossequiosa
intervista esclusiva solo audio (debitamente sottotitolata per i non udenti) al
generale Speciale. Per non parlare dell’informazione Mediaset: durante il governo
di Silvio, meno di zero. Telegiornali ilari e spensierati, nessuna traccia di
rubriche sui guasti della politica, le magagne della maggioranza, gli allarmi
sociali. Oggi, tiggì ansiogeni su criminalità dilagante, clandestini
arrembanti, maggioranza lacerata. Maurizio Belpietro che ghigna sul governo
inetto e golpista. Irene Pivetti, smessi i panni fetish e i duetti con
Platinette, riconvertita in caricatura della Gabanelli in un “Liberi tutti”
sull’Italia allo sfascio. Giorni fa,
l’editorialista della Stampa Luca Ricolfi (quello che si dichiara di sinistra
ma dice che la sinistra è antipatica, e firma un sacco di commenti sugli
imperdonabili disastri del governo Prodi) scriveva di criminalità, notando con
invidiabile candore un curioso paradosso: quando – durante i governi di
centrosinistra dal 1996 al 2001 – i reati diminuirono, Berlusconi vinse le
elezioni suonando l’allarme sicurezza. Ai cittadini, debitamente aizzati dai
media catodici, pareva di essere assediati dal Crimine. Durante il governo del
Cavaliere, a reati aumentati, l’allarme era minore. Domandina per Ricolfi: sarà
mica a causa di chi e di come si fa l’informazione televisiva? D’accordo:
l’insoddisfazione del popolo della sinistra si deve agli errori del governo da
me prima elencati. Ma siamo proprio sicuri che i sondaggi negativi per l’Unione
dipendano solo dalle sue indiscutibili colpe? Come si spiega che nel 2002, dopo
un anno di governo Berlusconi, pur registrandosi un calo dei consensi, i
sondaggi non lo davano così a picco? Eppure in quel periodo non fece altro che
leggi ad personam, mentre l’economia iniziava a ristagnare e i prezzi dopo
l’arrivo dell’euro crescevano incontrollati. Ma l’informazione televisiva
(Raitre a parte) parlava d’altro. In un paese nel quale si legge pochissimo,
l’opinione pubblica è formata dalla tivù. E se la tivù tace, le menti si
assopiscono. Oggi che grazie al cielo (oltre a fiumi di news berlusconizzate)
certa buona informazione torna a vedersi, forse sarebbe bene rammentare a tutti
chi l’aveva azzerata. E come si era giovato di quell’odioso controllo.
"Eh, quando c'era lui, caro lei.."
da L'Unità, 9 giugno 2007
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