“Un capo
dell’opposizione, Silvio Berlusconi, (…) che ogni sera da diciotto mesi
annuncia a televisioni e giornali la fine di Prodi: prima negando i risultati,
poi denunciando brogli, poi intimidendo i senatori a vita, poi appellandosi al
cattivo umore della gente (…) Una strategia di delegittimazione del tutto
anomala, ma che molto rapidamente è stata banalizzata e fatta propria da tutti
coloro che fanno opinione, essenzialmente giornali e televisioni pubbliche
oltre che private”. Sono brani della lettera al direttore della Stampa Anselmi
firmata da Barbara Spinelli ed uscita martedì 30 ottobre in prima pagina sul
quotidiano torinese. Una lettera lucida ed accorata, per il disagio che
esprimeva non solo sulla linea editoriale del giornale, ma – più in generale –
su questa sorta di mantra collettivo che recita ossessivamente “Prodi a casa!”.
Mantra lanciato da subito da Berlusconi, e rilanciato a turno da giornali,
opinionisti, sondaggi, di nuovo capo dell’opposizione e suoi ligi sottoposti
che riavviano con più forza la litania circolare, con tale potenza da invadere
anche le menti ed informare di sé i comportamenti politici di alcuni esponenti
della maggioranza. Precisa, la raffigurazione del quadro da parte della
Spinelli: il governo descritto come “una carcassa che si trascina”, la sua
attuale impopolarità come condizione sufficiente per chiederne la caduta e – al
tempo stesso, contraddittoriamente – l’ostentata insoddisfazione per la
presunta mancanza di riforme necessariamente impopolari. “Mai ho visto tanta
gente uniformemente invocare la fine d’una legislatura, e volontariamente
servire il disegno di chi parla di democrazia ma non ne rispetta la
regolamentazione”, scriveva con rara efficacia la commentatrice. Non ci sarebbe
da aggiungere nulla, se non una piccola domanda: ma come è stato possibile?
Come ha potuto l’iniziale, personale incapacità di accettare la sconfitta da
parte del leader dell’opposizione tramutarsi in breve tempo in una sorta di
repulsa di massa per chi sta governando? Sì, perché i sondaggi attestano che
oramai siamo davvero ad un automatico rifiuto collettivo. Sempre martedì 30, a “Ballarò”, le
rilevazioni di Pagnoncelli fornivano dati impressionanti: per gli italiani, il
governo Prodi sta facendo peggio – e di molto – del governo Berlusconi su
giustizia e problemi sociali. Giudizio grottesco, per chiunque ricordi le leggi
ad personam e la totale indifferenza se non ostilità per i più deboli nei
cinque anni di Silvio, e le raffronti con le attuali misure per i consumatori,
i pensionati e gli incapienti, i provvedimenti (alcuni energici, altri più
timidi) contro l’evasione fiscale, il lavoro nero, gli infortuni, il
precariato, e a favore dell’edilizia popolare; sulla giustizia - si dice - pesa
negativamente l’indulto, che però – “casualmente” non lo si dice – è stato
votato anche da Forza Italia e Udc. Ripropongo perciò la domanda: ma come è
stato possibile arrivare a questa insofferenza pavloviana per il centrosinistra,
che rende popolare il refrain “Prodi a casa”? E questa volta rispondo: grazie
alla televisione, principale strumento di formazione dell’opinione pubblica nel
nostro paese. Basta ricordare: durante il governo Berlusconi - Tg3, “Report” e
“Ballarò” a parte - l’etere pubblico e privato riluceva d’azzurro: i
telegiornali minimizzavano disagi sociali ed insicurezze metropolitane,
edulcoravano o tacevano divisioni nella maggioranza, enfatizzavano ogni minimo
intoppo nell’opposizione, tacciavano (amplificando le voci della destra) di
demonizzazione del Premier chiunque osasse criticarlo. Fuori da notiziari così
modellati, epurate le voci critiche o semplicemente non allineate, gli spazi
“informativi” erano di esplicita o subliminale glorificazione del governo
(Socci, Masotti, Berti, “Porta a Porta”, “Telecamere”), oppure – ancora più
efficacemente, sulle reti possedute dal Premier – non c’erano proprio. Oggi la
musica è opposta: il Tg3 non nasconde certo i disagi del paese e le spaccature
nella maggioranza; “Report” e “Ballarò” informano senza reticenze; il Tg1 non è
affatto il megafono di Palazzo Chigi; Santoro non fa sconti a nessuno. Il
resto, è manna per Silvio, anche perché spesso la produce lui: vedere – ancora
martedì 30 – un cronista del Tg5 di Mimun istigare i metalmeccanici in piazza a
denunciare i propri salari da fame, avendo presenti i luminosissimi anni di Tg1
di Mimun improntati all’apologia scientifica del Cavaliere e all’accurata
sordina su ogni febbre sociale, faceva riflettere. Ma solo quanti conservano un
minimo di memoria. Agevolmente cancellata – per l’appunto – a suon di:
telegiornali unidirezionali sulle crepe del governo; enfatizzazione di ogni
criticità sociale (da qui “l’allarme criminalità”, suonato senza sosta ora che
molti reati sono diminuiti, ma “è la percezione, bellezza!”, oppure
“l’emergenza immigrazione”, decretata solo adesso che è in vigore come sotto
Silvio la legge Bossi-Fini, ma si può far credere con successo che non lo sia
più, e il resto sono le comode speculazioni rumene di questi giorni); persino
le prima ovattatissime “Telecamere” e “Porta a Porta” che mostrano infortuni
sul lavoro, città insicure, famiglie indigenti; per non dire di “Tempi moderni”
di Retequattro che dipinge un unico, sistematico orrore italico, e via
esagerando apocalitticamente su tutti i canali. Così preparato il terreno, il
mantra berlusconiano “Prodi a casa!”, propalato più o meno strumentalmente,
penetra che è un piacere, a mo’ di profezia in corso di autoavveramento. Se
tale è il disastro governativo, naturale se non provvidenziale porvi subito
fine con ogni mezzo. Anche perché l’accusa sdegnata di demonizzazione del
Premier, così gettonata durante il governo Berlusconi, adesso non risuona più,
tra uno speciale e l’altro sui “vaffanculo!” di Grillo, che quando sgovernava
Silvio proclamava l’inutilità dell’attacco ai politici in tempi di
globalizzazione economica e malversazioni societarie, ma ora le strilla chiare
alla Casta (leggi “al governo”), in attesa di ri-sparire dalla tivù appena torna
il Cavaliere.
Un
imbonimento di massa è impresa difficile. Ma non impossibile, quando si
possiedono o controllano gran parte dei mezzi con cui praticarlo.
"Prodiacasa,
Prodiacasa, Prodiacasa. ITALIANIIII !!!!!"
da
L'Unità, 6
novembre
2007
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