“Una parola oscena”: così Mina Welby, al microfono del Tgr Liguria, definisce l’esibito rammarico del Premier (“Non sono riuscito a salvarla”) per la fine della non-vita di Eluana Englaro, a un anno esatto di distanza. Definizione tristemente perfetta: osceno quel rinnovare l’uso strumentale, a fini di bassa politica, di un indicibile dolore personale e familiare, degradando un’occasione di riflessione ad una cinica commemorazione del proprio “amore” politico per la “vita” reso impotente dal partito dell’ “odio” cultore della “morte”. Osceno quello straparlare in prima persona di un dramma di altri, con la presunzione o – peggio – l’intenzione di far credere di conoscerlo e di poterlo risolvere. Osceno quello svuotare e ribaltare di senso le parole: non solo “amore” e “odio”, “vita” e “morte”, ma anche “lasciare morire di fame e di sete” detto e ridetto all’infinito (esattamente come “non abbiamo messo le mani nelle tasche degli italiani”), laddove ci si riferisce all’interruzione di una nutrizione artificiale che avviene mediante un sondino gastrico introdotto in un corpo inerme, nutrito con sostanze chimiche e non certo da bevande e cibo, come invece quell’espressione sistematicamente ripetuta vuole indurre a pensare. Osceno quell’offendere il linguaggio per insultare la verità, per ridurre l’intelligenza, per azzerare il pensiero e per ricavare da tutto ciò consenso e potere. Mina Welby lo dice perfettamente, con una definizione secca seguita da argomentazioni limpide sull’inalienabile diritto a disporre della propria esistenza, a poterla considerare vivibile o meno. E lo dice con il suo volto, segnato da una vita intensa di amore e sofferenza con una persona malata che, alla fine dei suoi giorni, ha almeno potuto decidere di sé. Un volto bellissimo, scavato e sereno. Che trasmette verità. E anche una piccola, fortissima speranza.
L'osceno del villaggio:
da OLI Osservatorio Ligure sull'Informazione n. 249, 17 Febbraio 2010 Tutti i diritti riservati |