Ma no che non c’entra(va)no niente lo spread, l’attrito politico con la Germania, la voglia di dare una lezione alla Merkel. Ma è chiaro che ogni metafora politico-pallonara è stucchevole, ogni battuta su eurobond e pelota scontata, ogni politicizzazione della semifinale europea non commendevole. E non solo perché sennò adesso la finale ci costringerebbe ad apocalittiche prefigurazioni sul nostro paese, a rischio di sorpasso da parte della rinata Spagna. Sono sempre stato allergico all’idea del calcio come metafora – oltre che della politica - della vita (e a quelle del ciclismo come allegoria dell’esistenza, dell’automobilismo come simbolo dell’efficienza, del rugby come emblema della trasparenza): è insufficiente nel suo ridurre a schemino filosofico uno sport che è prima di tutto un gioco, con la meravigliosa dimensione aleatoria del caso. Idem per certi comodi sociologismi metropolitani, per cui se un anno (ormai remoto) lo scudetto lo vince il Verona è il segno del riscatto della provincia, se trionfa il Napoli è la misura della rinascita del sud, e magari se quest’anno, dopo un bel po’, primeggia la Juve, ci scappa pure un’ardita analogia con la nuova Torino progettata da Marchionne…(tacendo di tutte le drammatiche difficoltà per scovare un’illuminante lettura sociologico-urbana quando, a Milano, Roma o Genova, uno dei due club cittadini convince e l’altro annaspa). No, lanciarsi in chiavi extracalcistiche non conviene, anche perché altrimenti – tornando al torneo europeo – si rasenta la schizofrenia, o se preferite si rischia l’autogol: se la Germania che maramaldeggia in campo sulla Grecia era la dimostrazione in maglietta e pantaloncini dell’ineluttabile prevalenza del rigore sull’individualismo anarcoide, la nostra Nazionale che la umilia provava che i vincoli tedeschi a Bruxelles sono ottusi e perdenti contro di noi ma non contro i greci? No, limitiamoci ad assaporare un ottimo secondo posto. E però, con le cautele imposte dalla casualità del tutto e dalla quasi totalità di quest’articolo, magari un pensierino facciamocelo, su una Nazionale guidata da un tecnico che è anche una bella persona, che sa dire parole importanti sui diritti civili, che trasmette anche con i modi, i toni, la faccia, un senso di serietà, e che lo trasmette ai suoi giocatori. Pensiamo anche ad un goleador straordinario, geniale, umorale e micidiale, dalla pelle nera, che canta il nostro inno dopo vent’anni quasi di sgoverno leghista, inducendo pure Borghezio ad un affannato revisionismo storico-padano. Malgrado la batosta con la Spagna, resta un segno vincente. l'Unità 03/07/12 Tutti i diritti riservati |