Scusate la
domanda a bruciapelo, ma a cosa serve un notaio? No, non sono qui a perorare la
causa delle liberalizzazioni di Bersani (per quanto, non guasterebbe mica…).
Sono qui ad interrogarmi su funzioni e deontologia della succitata figura
professionale, o meglio di una sua fortunata specializzazione: il notaio
televisivo. E non mi riferisco al simpatico signore baffuto delegato da tempo a
certificare regolarità e bontà dei pacchi di Flavio Insinna. Mi riferisco
all’abile signore straconosciuto impegnato a suo tempo a vidimare il contratto
di Silvio Berlusconi. A farla breve: qual è – oggi – il ruolo pubblico di Bruno
Vespa, a sette anni dall’apposizione catodica della firma del Cavaliere in
calce a quel mitico documento politico? Il mio non vuole essere un quesito
ozioso o provocatorio, ma un interrogativo socialmente utile, in vista di un
avvenimento – le elezioni – di non secondaria importanza per la nostra
comunità. E dunque occorre – all’uopo – fare un passo indietro: a quell’evento
epocale, per l’appunto, avvenuto nel 2001 ma ancora oggetto di riflessioni,
citazioni e proiezioni sull’attualità. Lunedì 18 febbraio 2008, per esempio,
sulla Stampa di Torino, l’editorialista Luca Ricolfi, in un commento
molto critico nei confronti di risultati, annunci e promesse da parte di destra
e sinistra, scriveva: “Prendiamo Berlusconi. Nei giorni scorsi gli abbiamo
sentito dire in tv che il suo governo aveva realizzato l’85% del programma del
2001 – il famoso contratto con gli italiani – e che il ‘pezzettino’ non
realizzato (appena il 15%) era rimasto sulla carta per colpa degli alleati.
Bene” proseguiva Ricolfi “allora è forse il caso di ricordargli che le
due promesse principali del suo programma sono state clamorosamente disattese:
l’aliquota Irpef massima non è stata ridotta al 33%, i delitti anziché
diminuire sono aumentati. Per non parlare delle grandi opere, anch’esse
realizzate in misura ben inferiore alle promesse. Perché raccontarci di aver
onorato il ‘contratto’ all’85% se non è vero?”. Impietoso, Ricolfi, ma
altrettanto duro – nel prosieguo del suo articolo – col governo Prodi (con
successivo intervento di precisazioni ed obiezioni sulla Stampa da parte
del Professore, e piccata controreplica dell’editorialista). Ergo, direte: le
promesse non mantenute sono una caratteristica bipartisan. Può darsi, ma
qui un distinguo è d’obbligo: il mitico contratto con gli italiani non era una
semplice promessa elettorale. Era proprio – nelle sue specifiche modalità
televisive – un contratto. Tra due contraenti: uno, volontario (il Cavaliere
aspirante Premier); uno, involontario ma conquistato dall’idea (l’elettorato).
E un notaio, gongolante ma dichiaratamente imparziale nella registrazione di quell’atto
(sul servizio) pubblico. Ma non è solo e tanto questa, la differenza. E’ che –
proprio in quel contratto – c’era una clausola inequivocabile: qualora il
contraente volontario, durante il suo governo, non avesse realizzato almeno
quattro dei cinque punti, non si sarebbe più ripresentato alle elezioni. E’ qui che
casca la mia domandina iniziale: ma a cosa serve un notaio? Sì, perché – a mio
modesto avviso – qui si imporrebbe un intervento imparzialmente professionale
dell’imparzialissimo professionista, protagonista (neutrale, per carità, ma
fondamentale) di quell’atto (notarile) epocale. Tanto più che l’imparzialissimo
professionista dimostra da sempre di tenerci tantissimo, a quell’atto: a
partire dalla sera stessa della sottoscrizione, allorché – in aggiunta
all’espressione compiaciuta sopradescritta – sfoderò persino un commento
entusiastico sulla grafia del contraente volontario (“Quella B!”,
esclamò se ben ricordo, chiosando ammirato le per lui proverbiali volute
barocche con cui il Cavaliere stava vergando la prima lettera del proprio
cognome). Per finire a recenti (ec)citazioni: proprio nella trasmissione di cui
scriveva Ricolfi, il notaio aveva provveduto a rispolverare dalla soffitta di Porta
a Porta la celeberrima scrivania di ciliegio da lui imparzialmente fornita
sette anni prima al contraente volontario. Gli occhi scintillavano: al
Cavaliere e a lui. Ma se è comprensibile che il primo, rievocando il mitico
contratto, bluffasse parlando di una sua realizzazione all’85%, come mai
l’imparzialissimo Vespa – garante di quell’atto – non ha obiettato “Lei ne
ha realizzato ben poco, e quindi non può più ripresentarsi alle elezioni”?
Allora, visto anche che adesso il contraente volontario annuncia un nuovo
contratto: me lo spiegate a cosa serve un notaio? L’ideale sarebbe che me lo
spiegasse direttamente lui. Il Cavaliere col suo Notaio porta(aporta)tile
da L'Unità, 5 marzo 2008
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