So bene che i problemi sono ben altri (detto sul serio e oggettivamente, e non come facile refrain da benaltrista di sinistra): la spaventosa crisi economico-sociale spaventosamente non affrontata da un governo incapace di tutto; lo scherno europeo, mondiale, planetario per il piccolo Premier padrone del piccolo schermo; i colpi di coda caimaneschi assestati con disperata lucidità alla giustizia, all’informazione, all’uguaglianza, e via sprofondando il Paese nel baratro. Ma nonostante questo, o forse proprio per questo, la notizia degli ultimi tempi che più mi ha colpito sono state le istruzioni con bacchettate impartite dal Presidente del Consiglio a uomini e donne del suo partito riguardo come comportarsi durante i talkshow. Non è una notizia inedita, e non sono istruzioni e bacchettate inedite, ma l’ennesima replica di precedenti notizie, istruzioni e bacchettate. L’eterno ritorno dell’identico in formato «consigli per i papisti» elargiti da Papi in fard e ossa. Dunque, mentre infuria la bufera sul Titanic Italia, il capo del governo italiano avverte il bisogno politico e l’urgenza filosofica di far sapere ai suoi che facce devono fare quando in tv parlano gli avversari di dibattito. Che mimica devono attivare. Che posture devono assumere. Già questo definisce l’uomo, il leader, lo statista. Ma definisce anche il livello del sottosuolo al quale siamo precipitati. E definisce altresì il grado di credibilità di quanti, se non tuttora, fino a poco tempo fa si ostinavano a vedere nel Cavaliere di Arcore l’Uomo della Provvidenza liberale. La domanda da porsi è la seguente: ma come è stato possibile? Come è stato possibile che fior di editorialisti, analisti, politologi, panebianchi e ostellini, in tutti questi anni, abbiano pensato che Lui incarnasse l’auspicata rivoluzione liberale? Cosa c’è di liberale, anche di minimamente liberale, in uno che in modo sistematico e fanatico, persino quando l’Italia affonda, si (pre)occupa politicamente delle controscene televisive dei propri sottoposti? Qui siamo dalle parti culturali delle sette dei telepredicatori yankee più o meno invasati, o del basso marketing imbonitorio alla Vanna Marchi, o di una sorta di sincretismo che li compendia. Forse il problema è questo, e non ben altro: in pieno rischio Grecia, il preteso nuovo Einaudi dice all’onorevole Ravetto che quando parla uno di sinistra deve fare di più «no» con il capo in favore di telecamera. Le cronache, reticenti (in quanto al servizio della sinistra?), non informavano se l’onorevole Ravetto, nell’ascoltare l’illuminante lezione liberale del Capo, con il capo facesse liberalmente «sì», come immagino liberalmente suggerito dal Capo. l'Unità 28/10/11 Tutti i diritti riservati |