Dieci anni. È la scadenza che un campione rappresentativo di italiani darebbe ai politici per poi farli tornare comuni cittadini, se ho ben ascoltato l’esito di un sondaggio Ipr Marketing esposto tempo fa al Tg3. Nell’ascoltarlo, ho pensato all’ineluttabile deturpazione del di per sé lecito concetto di «politico di professione», deturpazione provocata dal fiorire di politici «fioriti» fra ruberie, privilegi e festini: se fare il politico, come narrano le cronache, significa pensare agli affaracci propri, ovvio che si speri di limitare gli anni di quello spasso privato finanziato da denari pubblici.
Con buona pace dell’idea ragionevole di una «professionalità» dell’attività politica, fatta in realtà di competenze acquisibili anche con il tempo. Poi, ho pensato all’efficacia della predicazione a cinque stelle, della sua versione progressista detta «rottamazione», e del «patto per i due mandati» spacciato sere fa su Retequattro dal tre volte fu premier Papi: in tempi travagliati e complicati, nulla è più seducente della semplificazione brutale: (quasi) tutti i politici rubano, meno fanno i politici meno rubano.
Elementare e popolare, come il successo di una definizione: quella dei politici «nostri dipendenti». Con tanti saluti alla parola novecentesca «rappresentanti», così polverosa e illusa nel configurare uno scambio fra elettori ed eletti, dove «scambio» non era introdotto dal triste prefisso «voto di... », ma inteso come relazione implicante margini di manovra dei rappresentanti nell’indicare percorsi e progetti ai rappresentati, dei quali i primi non erano certo, per definizione, meri esecutori. Infine, circa quel sondaggio, ho pensato che però sarebbe bastata una domandina per aprire una crepa in convinzioni tanto più granitiche quanto più mediatiche, scandite come un mantra da giornali, tv e web.
Questa: «E Napolitano?». Ossia: «Se il limite di dieci anni per i politici fosse stato in vigore da tempo, oggi non avremmo Napolitano al Quirinale: lei ne sarebbe contento?». Credo che, salvo la quota grillina e qualche rivolo dipietresco, il campione rappresentativo avrebbe risposto «No, non ne sarei contento». E, se sollecitato al ragionamento articolato, si sarebbe accorto che di Napolitano apprezzava proprio le qualità derivate, oltre che da doti personali, da una lunga militanza politica: esperienza, competenza, capacità di valutazione dell’interesse generale. Si sarebbe accorto che non tutto è «Casta». Ma forse non conviene che le persone ragionino: le ricette facili vendono di più, e circolano che è un piacere (nel senso che basta un «mi piace» su Facebook).Però, come ha dimostrato la vittoria di Bersani alle primarie, non sono invincibili.