Tecnicamente, è un ripetente. In senso letterale: dalla sua «discesa in campo» (anch’essa, formuletta detta e ridetta fino ad infettare i vocabolari di politica, informazione e lingua italiana), Lui procede a tormentoni. I suoi slogan facili facili li scandisce eternamente identici per ficcarli nella testa degli italiani. Operazione agevolata – utile ripeterlo - dal possesso e/o controllo dell’etere. Refrain da tempo lanciati sul mercato sottostante (e rilanciati a Porta a Porta, Latina, Milano, Olbia), quindi, quello dei pm «eversivi» o «associazione a delinquere», quello della Commissione parlamentare di inchiesta che ne certificherà la da Lui già decretata criminosità, e via dileggiando quanti tutelano la legalità. Già intonati pure il ritornello contro la scuola pubblica, l’inno all’istruzione privata, la riprovazione dei professori di sinistra che inculcano valori contrari a quelli inculcati dalle famiglie. Dunque, una mera riproposizione della sua bassa tecnica pubblicitaria, che funziona mercé l’abbassamento del livello culturale operato dal teleimbonimento? Fino a poco tempo fa avrei risposto di sì. Oggi non ne sono più certo. Almeno, osservandolo all’opera (demolitoria) sulla scuola. Campo in cui mi sembra un ripetente non solo nel senso del dire e ribadire, ma anche in quello scolastico: parla, meglio, straparla come un ripetente. Come uno studente impreparato (compagno di banco e sfondoni di Mariastella), chiaramente poco portato per l’apprendimento ed il ragionamento, pur se convinto di essere intelligentissimo: fra tutti i feroci attacchi portati da Lui, Amatissimo Leader del Partito dell’Amore, quello alla scuola pubblica è stato il meno fortunato. A partire dal lancio del motivetto: alla prima esecuzione, costrinse se stesso e sottoposti ad affannate precisazioni (non vituperava tutti i docenti, pur sottopagandoli tutti). E poi a molti, anche non «comunisti», il verbo «inculcare», riferito all’educazione scolastica ed a quella familiare, era suonato inappropriato. E per questo dimostrativo di una scarsa dimestichezza con il linguaggio e la riflessione. Il segno lessicale di uno che brandisce concetti approssimativi ed imparaticci, capaci al più di (ri)animare i suoi fan(atici). Lo rimarcarono in tanti. Quando, oltre due mesi dopo, è tornato sull’argomento a piacere, ecco gli stessi termini inadeguati, lo stesso verbo sbagliato, spia del suo annaspare fra pensieri più grandi di Lui. Poveretto: per parlare della scuola, il luogo del ragionare articolato e dell’argomentazione, impiega parole rozze perché non riesce a dirne altre. E si nota. l'Unità 10/05/11 Tutti i diritti riservati |