SE SULL'EUROPA SENZA CERTEZZE

 

 

INCOMBE IL MISTERO DEL TERRITORIO

 

 

di Enzo Costa

 

 

 

Ma c’è ancora, il territorio? E, a monte (in senso metaforico, non orografico) della domanda, sarebbe cosa buona e giusta che ci fosse o che non ci fosse più? Non sono qui ad interrogarmi sullo stato idrogeologico del Paese (che, comunque, sappiamo disastrato), ma sull’esistenza o meno di una fisicità geografica della politica, ai tempi delle elezioni europee: appuntamento, quest’ultimo, di per sé basato su una sorta di geografia politica virtuale o se preferite amletica (esiste o non esiste l’Europa intesa come luogo democratico sovrastatale? È stata fatta ma dobbiamo ancora fare gli europei? È viva e lotta insieme a noi, malgrado sia frequentata in quel di Bruxelles da uno come Borghezio?). L’interrogativo iniziale sorge quasi spontaneo ad osservare il caso Scajola: il fu ministro, lo sapete, per la competizione elettorale continentale non è riuscito a trovare casa (mi si passi il basso umorismo di stampo domiciliare, ma è per vivacizzare un po’) nelle liste di Forza Italia. La sua presenza, già anticipata in esclusiva dal coordinatore ligure Biasotti fiero della sua intimità col fu Cavaliere, è stata cassata da Giovanni Toti, forte del suo nuovo ruolo di facTotim di Arcore. E già qui, in fatto di addetti alle nomination, il concetto di territorialità inizia a vacillare: il coordinatore regionale del partito, fresco per di più di un master che fa curriculum (una cena non elegante, ma alla presenza di Dudú in carne e pelo), che viene solennemente ignorato e/o sbugiardato dal nuovo Bondi di Palazzo Grazioli in materia di candidature in terra ligure. Inevitabile chiedersi cosa debba coordinare, per statuto, l’autoctono Sandro: la ola obbligatoria per qualsivoglia scelta imposta dall’esecutore in tuta bianca delle volontà del Leader Supremo, momentaneamente distaccato ai servizi sociali? Ma poi, soprattutto, l’idea di territorio frana come e più di un pendio di Andora con sovrastante terrazza e sottostante ferrovia, al cospetto dell’oggetto della decisione: l’uomo forte di Imperia impossibilitato a candidarsi ad Imperia, nella Liguria tutta e, dunque, nella circoscrizione Nord-Ovest, per cause di Forza Italia maggiore. Certo, l’ostacolo insormontabile alla sua ridiscesa in campo è stato, come è noto, un peccatuccio edilizio commesso fuori porta, giusto di fronte al Colosseo. Ma la sentenza che tale macchia, al momento giudicata penalmente irrilevante dalla magistratura, fosse più indelebile di quelle di Fitto (per non dire di quella passata in giudicato del fu Premier Papi neo-pregiudicato), è stata inappellabilmente formulata in un luogo altro e alto rispetto all’antica zona ponentina di predominio politico del sacrificato. Ma poi, il sacrificato medesimo, col suo territorio, poteva vantare ancora la simbiosi di un tempo? L’inimmaginabile tranvata elettorale presa da un suo uomo alle comunali di Imperia non parrebbe testimoniarlo. Tanto più se si rammenta come quel suo uomo, nel tentativo disperato di rimonta per il ballottaggio, era arrivato a semi-disconoscerlo. E allora? Il caso Scajola cosa dimostra, riguardo la territorialità della politica? Che ad un certo punto essa frana? Restando in Forza Italia, le due candidature liguri passate al vaglio del fido successore di Fede documentano due fenomeni più complessi: per Bonanini, una territorialità insieme proprietaria (il candidato europeo forzista è sotto processo per una gestione, secondo l’accusa, più che padronale del Parco delle Cinque Terre) e camaleontica (il candidato europeo forzista è stato candidato europeo piddino: che adesso punti, risolti o meno i guai giudiziari, alla realizzazione del Parco delle Cinque Terre Due?); per la De Martini, una territorialità di natura oscillatoria, nel senso che nel tempo intercorso fra la sua precedente candidatura alle europee per Berlusconi e la sua attuale candidatura alle europee per Berlusconi, la Nostra ha oscillato per l‘intero spettro di partiti e coalizioni dello Stivale, fino a ritrovarsi pronta, a fine giro, per la ricandidatura in Forza Italia. Tutti esempi, questi, di quanto sia aleatorio, ormai, il concetto di territorio, così come quello di appartenenza. Del resto, negli ultimi anni, la triste parabola della Lega ha dimostrato che un’idea eccessiva di territorialità è solo nefasta: quando si sacralizza in modo fanatico un territorio, in nome dell’opposizione integralistica a quanto è diverso, straniero, c’è un rischio: che a furia di affondare le radici si tocchi un sottosuolo in cui circolano scorie e veleni (pregiudizi, xenofobia, razzismo). Se un territorio viene assunto ottusamente o furbescamente come luogo di Bene assoluto minacciato da agenti esterni, ci si immiserisce così tanto – culturalmente e moralmente – da sprofondare fra i rimborsi del Trota e i diamanti in Tanzania. Una storia apparentemente padana, quella del Carroccio, ma tipicamente italiana, nelle sue degenerazioni familistico-clientelari così simili a quelle di tanta cattiva politica meridionale, fondata su voti di scambio ed elargizioni ad un elettorato relegato ad un sottosviluppo civile pari a quello economico del territorio così malamente rappresentato. Insomma, più in generale: in una Nazione polverizzata in corporativismi e campanilismi, con i partiti in via di estinzione, essere un politico espressione di un territorio non significa incarnare una sorta di boss della circoscrizione? Non si scordi il caso del recordman di preferenze Fiorito, uno che nel territorio era incistato. E ancora: non c’è il rischio che una visione assoluta del territorio finisca per nuocere all’interesse generale? Tema, questo, complesso. Qui mi limito a segnalare come, a proposito di infrastrutture, fino a qualche decennio fa l’esproprio per un’opera pubblica era visto, a sinistra, come segno del prevalere delle istanze della comunità statale su quelle individuali, egoistiche, di questo o quell’abitante. Oggi, invece, la sinistra più antagonista professa l’opposto. Tornando alle elezioni europee, l’auspicio è che sia possibile, come paiono attestare alcune candidature nel Pd (Cofferati, Briano, Gualco) unire rappresentanza del territorio e competenza, conoscenza dei problemi locali e visione più ampia delle dinamiche sociali ed economiche. Anche perché l’alternativa, la politica 2.0, non sta dando prove esaltanti: al di là delle spassose autocandidature web degli aspiranti parlamentari europei a cinque stelle, molti dei quali provenienti da non si sa quale remota galassia, ci sono i comizi a pagamento di Grillo. Uno così all’avanguardia che quando fa lo show a Padova diventa secessionista veneto, e quando, qualche mese prima, arringa gratis folla la folla in piazza della Vittoria, iscrive unilateralmente e suo malgrado Pertini al MoVimento. Lui è legatissimo al territorio in cui si esibisce quella sera.

da Repubblica Genova 24/04/14

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